Questa mattina stavo lavorando con una mia paziente sdraiata sul tavolo (dovrei dire allieva, visto che si trattava di una lezione di Tecnica Alexander) e mentre le tenevo il braccio destro sospeso, muovendolo delicatamente, mi chiede: Paolo, mi puoi dire a cosa servono questi movimenti? Anziché addentrarmi in spiegazioni complesse le giro la domanda: Tu cosa percepisci da questi movimenti? Si mette a ridere e mi dice: Da bambina avevo una bambola di plastica, di quelle a cui si staccano le braccia e le gambe, e mi divertivo a togliere gli arti e a rimetterli a posto; ecco, ho la sensazione che tu mi stia rimettendo a posto il braccio nella spalla. Niente di più vero, ma non lo stavo facendo io, almeno non direttamente. Il mio intento era quello di incoraggiare il rilasciamento di tensioni anomale per favorire la connessione tra il braccio e il tronco, per aiutare il tronco ad espandersi attraverso il braccio.
Mi capita spesso, mentre lavoro con una persona, di sentire che qualcosa si modifica e poi percepisco una connessione migliore tra le parti del corpo. In quel momento la persona può avere la sensazione di un rilasciamento, o di un flusso di calore, o di qualcosa che sembra andare a posto. È curioso come questo modo di lavorare possa generare un’esperienza soggettiva così originale. Penso che avvenga perché si basa prima di tutto sull’ascolto, sul riconoscimento di quello che c’è, e sul dialogo. Quando porto le mie mani a contatto di una persona instauro un dialogo tra il suo corpo e il mio. Ci ascoltiamo e ci scambiamo informazioni, e avviene qualcosa di imprevedibile, e quando avviene si capisce che era proprio quello che stavamo cercando. Resto sempre affascinato da questo processo di cambiamento che porta verso la consapevolezza.
La mia paziente/allieva si trascinava da tempo un problema alla parte alta del braccio destro e alternava periodi di fastidio a periodi di dolore intenso. Aveva già provato vari tipi di terapia ma senza risultati soddisfacenti. Quando l’ho presa in carico, il braccio era l’ultima cosa di cui preoccuparmi. C’era da riorganizzare tutta la postura, il modo in cui si teneva in equilibrio e la predisposizione al movimento. I suoi muscoli si erano accorciati ed era come se comprimessero il suo corpo. Mano a mano che si rilasciavano e si allungavano rivelavano aspetti insospettabili di quella configurazione, aspetti legati alla paura, al bisogno di proteggersi, all’accettazione di sé. Rispetto a quello che può avvenire in una persona posso dire che con le mani non faccio niente. Il non fare può essere più efficace di un fare troppo e di un fare sbagliato.
L’intenzione, il rispetto, la presenza, sono i fattori principali del mio lavoro. Accomunano la Tecnica Alexander, la Terapia Cranio-Sacrale e il Rilascio Somato-Emozionale. Cerco di accogliere la persona con la mia mente prima ancora che con le mie mani. Metto le mie energie al servizio delle possibilità di cambiamento e di autocorrezione presenti in ciascuno di noi. Talvolta sembra che si ristabiliscano connessioni tra parti del corpo, ma per lo più si tratta di riconnettersi con se stessi. Traumi, emozioni, abitudini sono ciò che ci rende disconnessi. Riconoscere quello che c’è è il primo atto d’amore che possiamo compiere e il modo per permettere che le cose cambino, che le connessioni si ristabiliscano, con noi stessi e con gli altri.
Questo è il mio modo di fare il fisioterapista. Se hai bisogno di aiuto chiamami.
Paolo Frigoli
0 commenti